
Anche a più di trent’anni di distanza dalla chiusura del Concilio Vaticano II, questo grande evento della Chiesa cattolica, definito da papa Giovanni Paolo II come un “dono grandioso dello Spirito Santo alla Chiesa alla fine del secondo millennio”, continua a trovarsi al centro della vita ecclesiale e della riflessione teologica. Esso è e resta in effetti la Magna Charta della Chiesa cattolica nel suo cammino verso il nuovo millennio. E costituisce, a ragione, il decisivo contesto di riferimento per tutti gli sviluppi ecclesiali e gli sforzi teologici. Occuparsi di questo Concilio ha quindi voluto dire concentrarsi sempre di più sul compito di un’ermeneutica teologica delle sue dichiarazioni. Un simile lavoro è però necessario anche rispetto al diritto canonico dell’anno 1983, il cui compito, secondo la Costituzione Apostolica Sacrae Disciplinae Leges, consisteva nel tradurre l’ecclesiologia conciliare “nel linguaggio canonistico”. Anche se sarebbe esagerato attendersi che questa traduzione degli insegnamenti conciliari nel linguaggio canonistico possa essere realizzata nella sua totalità, c’è però bisogno di un’elementare interpretazione teologica e di un ulteriore sviluppo del diritto canonico sul fondamento dell’ecclesiologia di questo Concilio.
Sulla scia del suo maestro in diritto canonico, il defunto vescovo di Lugano Eugenio Corecco, che aveva definito la canonistica come una disciplina teologica con un metodo teologico, intendendo così la legge canonica non come ordinatio rationis ma come ordinatio fidei, Libero Gerosa, professore ordinario di diritto canonico a Paderborn, è soprattutto impegnato a continuare l’opera di elaborazione, ricca di prospettive, di una interpretazione teologica del diritto canonico dopo il Concilio Vaticano II. Infatti, in contrasto con una comprensione puramente positivistica dell’ordinamento giuridico della Chiesa che, come mostra l’esperienza, spalanca facilmente le porte a una strumentalizzazione ideologica – tanto di orientamento conservatore che progressista – Libero Gerosa è preoccupato anzitutto di un’interpretazione della legge canonica che corrisponda appieno all’ecclesiologia del Concilio Vaticano II e il cui punto di partenza egli coglie in una fondazione teologicamente conseguente del diritto canonico. Tale visione era già stata prefigurata nella sua tesi di libera docenza (Charisma und Recht, 1989), approfondita nella sua trattazione sul Diritto della Chiesa (1995) alla luce della triade “parola, sacramento e carisma”, come i tre elementi originali della costituzione ecclesiale, e resa pastoralmente feconda nel suo libro Kirchliches Recht und Pastoral (1991).
Il grande guadagno di questo punto di partenza consiste soprattutto nel fatto che, con esso, viene proposto un nuovo capitolo nel necessario processo di intesa tra dogmatica e canonistica, al cui centro sta la visione conciliare della Chiesa come communio Ecclesiae et Ecclesiarum. Questa prospettiva è difesa da Libero Gerosa tanto contro l’equivoco “platonico”, in cui la Chiesa universale rappresenta solo un archetipo trascendentale e si realizza quindi solo nelle singole Chiese particolari e, anzi, sempre allo stesso modo (universalia ante res) quanto contro l’equivoco “nominalistico”, in cui la Chiesa universale sussiste come federazione di Chiese particolari e, in questo senso, come risultato di una decisione della volontà (universalia post res). Questo accade nella convinzione della reciproca immanenza di universalità e particolarità nella Chiesa e, quindi, dell’identità di origine di Chiesa particolare e Chiesa universale, secondo la quale in ogni Chiesa particolare sono presenti tutte le altre Chiese particolari, per mezzo della Chiesa universale da loro costituita. Perciò la canonistica, mantenendosi teologicamente fedele al Concilio, ha da occuparsi specialmente delle reciproche relazioni tra lo ius universale e lo ius particulare, e ciò nel senso che il diritto universale deve offrire garanzie per l’unità, senza ridurla a uniformità, e il diritto particolare deve garantire la pluralità, senza scivolare in un particolarismo settario e in un provincialismo ecclesiale localistico.
Solo se la canonistica fa suo questo rapporto reciproco, può essere al servizio di una ermeneutica della legge ecclesiastica comunicativa, in grado cioè di trascendere i confini culturali, e, proprio per questo, davvero interculturale. Le linee di fondo di tale ermeneutica vengono sviluppate nella prima parte di questo volume. Quanto un simile punto di partenza possa risultare fecondo, lo si vede soprattutto nella seconda parte, in cui vengono trattati gli sviluppi di questioni canonico-istituzionali elementari, sulla base dell’interpretazione teologica del diritto canonico. Sullo sfondo stanno, da una parte, alcune proposte di Libero Gerosa per una nomina sinodale di coloro che dovranno portare la piena responsabilità ecclesiale, in base alle quali nella nomina di vescovi diocesani non si dovrebbe porre davanti al fatto compiuto né la Chiesa particolare interessata né il Papa, ma che, piuttosto, ad ambedue le parti venga garantito lo spazio effettivo per una scelta libera. Ciò si dimostra però possibile solo se viene riconosciuto il principio teologico della sinodalità come dimensione intimamente ontologica della sacra potestas. D’altra parte, sul medesimo fondamento della rivitalizzazione della componente sinodale della legislazione ecclesiastica, Libero Gerosa si schiera in maniera particolare a favore della rivalutazione dell’antica e onorata istituzione della provincia ecclesiastica e della possibilità ad essa connessa dei concili provinciali, a cui il diritto canonico attesta potestà legislativa e i cui decreti non necessitano dell’approvazione della Santa Sede, ma solo della sua ricognizione.
Il richiamo a questi due esempi, che possono essere intesi come paradigmi e a cui l’autore fa costantemente riferimento nel suo libro, può bastare per riuscire a misurare la portata degli “stimoli” e delle “prospettive future” che derivano dal punto di partenza teologico-canonistico di Libero Gerosa. Dal momento che in ambedue gli esempi la componente sinodale della legislazione ecclesiastica si trova in un indissolubile legame con il principio personale della responsabilità pastorale ecclesiale, appare chiaro che Libero Gerosa prende conseguentemente sul serio la sinodalità come espressione istituzionale della communio Ecclesiae et Ecclesiarum e ne trae vigore per lo sviluppo ulteriore del diritto della Chiesa e delle istituzioni canoniche. In ciò sta non solo il suo grande merito teologico-canonistico, ma è messa anche pienamente in luce la ricchezza di indicazioni che egli sa offrire alla Chiesa cattolica in vista del suo futuro. In effetti, è proprio nella conseguente rivitalizzazione del principio sinodale nell’ambito concreto della Chiesa e della sua legislazione che sta la risposta in linea con le urgenze del momento, ma, allo stesso tempo, capace delle necessarie correzioni, rispetto all’appello odierno – spesso abbastanza generalizzante e quindi incapace di differenziazioni – a un’ampia democratizzazione della Chiesa, dal momento che, in primo luogo, la sinodalità teologica implica molto più di una democrazia secolare e, in secondo luogo, i principi ordinativi della vita ecclesiale devono essere di natura teologica e non profana.
Proprio su questo presupposto voglio sperare che teologi e persone che portano nella Chiesa incarichi di responsabilità, nella loro preoccupazione per un felice futuro della Chiesa, si accostino volentieri al nuovo libro di Libero Gerosa e ne sappiano trarre stimoli e insegnamenti positivi. Allo stesso modo, spero che essi troveranno il passe-par-tout per un adeguato sviluppo delle istituzioni canoniche in quella interpretazione teologica del diritto canonico del cui sviluppo e approfondimento Libero Gerosa ha voluto farsi particolarmente carico. Con questo desiderio e con un cordiale ringraziamento all’autore, auguro che questo libro possa avere successo e trovare attenti lettori e lettrici.
Soletta, nella Festa della Visitazione di Maria 1999
U Kurt Koch, vescovo di Basilea, vescovo di Basilea